La CISS ha ancora 9 membri dello staff palestinese a Gaza, ma sono tutti sfollati interni, per lo più nelle scuole dell'Unrwa nel sud. Due di loro si trovano nel Nord della Striscia di Gaza, dove ogni giorno hanno difficoltà nel trovare cibo, acqua o anche supporto medico. La maggior parte di loro ha perso completamente la casa, altri hanno avuto parenti uccisi; alcuni di loro hanno difficoltà a trovare un modo per proteggere i propri familiari anziani o con disabilità all'interno delle scuole.
Per comprendere qual è la situazione odierna nella Striscia di Gaza, cosa è stato fatto negli anni per favovire la pace e come siamo arrivati all'attuale situazione di guerra, abbiamo intervistato il presidente Sergio Cipolla e Valentina Venditti, responsabile area Medio Oriente e Nord Africa della CISS, (Cooperazione Internazionale Sud Sud), con sede a Palermo, che si occupa di progetti per lo sviluppo in diverse aree del mondo.
Sergio Cipolla e Valentina Venditti, presidente e responsabile area Medio Oriente e Nord Africa del CISS.
Jacopo Intini e Amal Khayal, vostri collaboratori usciti da Gaza, hanno descritto una situazione drammatica. Che altre notizie avete della popolazione della Striscia?
«Cerchiamo di mantenere contatti costanti con il nostro staff ma è sempre molto difficile. La connessione internet è un miraggio, ma anche la normale linea telefonica non funziona. Di alcune persone non abbiamo nessuna notizia da giorni. Il 25 ottobre ci è arrivata la terribile notizia che Ahmed, un clown di Gaza, è stato ucciso, faceva parte della scuola di circo e dedicava la sua vita a regalare sorrisi e cercare di arginare le paure dei bambini e delle bambine di Gaza. Le sue uniche armi erano palloncini e palline da giocoleria. Abbiamo lavorato tanto a Gaza sul supporto psicologico e psicosociale per i minori, insieme ai clown e agli animatori delle nostre associazioni partner. Operatori e operatrici che non si sono mai fermati, nemmeno di fronte alle bombe nella missione di proteggere i bambini e le bambine dalla paura. Ci siamo svegliati qualche giorno fa con la notizia della morte di un giovane volontario della nostra associazione partner Tamer. Yousef era un membro dei gruppi letterari giovanili, faceva parte del gruppo di volontari e volontarie del progetto finanziato da Grand Challenge Canada che Tamer assieme al CISS e a Humanity Crew stava realizzando nella Striscia di Gaza per garantire supporto psicologico soprattutto ai minori affetti dai traumi dei bombardamenti. Queste sono le notizie che non vorremmo mai ricevere.
In seguito all’ordine di evacuazione del Nord, molti nostri operatori e operatrici si sono spostati a Sud e si trovano attualmente nelle scuole Unrwa adibite a rifugi. La situazione che ci raccontano è drammatica. Manca tutto, non c’è cibo, non c’è privacy, non ci sono materassi e non ci sono servizi igienici sufficienti. Ci sono persone che non mangiano da giorni perché non è semplice procurarsi dei viveri. Anche le scorte di acqua stanno finendo e comunque non sono sufficienti. Molti di loro ci riferiscono che la prima cosa che vogliono fare appena finisce la guerra è bere acqua. Tutto il sistema sanitario è al collasso: mancano medicinali, disinfettanti, posti letto e le operazioni vengono effettuate nei corridoi e senza anestesia.
Un nostro collega, Khalil, ha perso la sua casa, la casa che stava appena finendo di ristrutturare poiché già colpita durante i bombardamenti dello scorso maggio. Haya è sfollata, la sua casa è gravemente danneggiata e non è più abitabile. Uno dei nostri collaboratori di lunga data, Mufeed, ha perso la casa e da due giorni non ha notizie di suo fratello. Un altro collega, Ibrahim, è rimasto ferito durante il bombardamento della sua casa che ha provocato la morte dei molti suoi familiari. Jamila ha perso 29 membri della sua famiglia, è la direttrice di una associazione nostra partner in un progetto in supporto dei diritti delle donne. Nonostante sia distrutta, ha aperto le porte del suo centro per accogliere 92 persone in difficoltà.
Gli aiuti che entrano non sono assolutamente sufficienti rispetto ai bisogni. Con più della metà di abitazioni distrutte, anche pensare ad un futuro, in questo momento, risulta difficile».
Siete presenti in Palestina dal 1988 con vari progetti. Di cosa vi occupate e come nasce la volontà di operare in quel territorio?
«La principale finalità della nostra associazione è la difesa e la promozione dei diritti umani in qualsiasi territorio quindi è stato del tutto naturale mobilitarci, praticamente fin dalla nostra fondazione, per il popolo palestinese che vede in modo eclatante i propri diritti violati da decenni. Il nostro operato è sempre orientato alla promozione materiale dei diritti fondamentali, abbiamo quindi agito con decine d’interventi su temi come la difesa delle terre palestinesi che vengono espropriate, l’acqua ma anche la difesa del proprio patrimonio culturale e, soprattutto, i diritti delle donne e la protezione dell’infanzia».
Perchè i vostri progetti sono rivolti in particolare alle donne? Qual è la loro condizione nella Striscia? Che ruolo hanno nella società e come contribuiscono al cambiamento?
«I diritti delle donne in Palestina così come in tutto il mondo, compreso il nostro paese, sono ben lungi dall’essere affermati nella loro totalità. Ma nel caso della Palestina ai fattori comuni ricorrenti che li limitano (primo tra tutti la cultura patriarcale dominante) si aggiunge in maniera drammatica la questione dell’occupazione e delle guerre ricorrenti e comunque sempre latenti; ciò comporta che si sommi in maniera drammatica violenza e oppressione a una condizione comunque già insoddisfacente. D’altro canto le donne hanno sempre dimostrato una grandissima capacità di resistenza e resilienza e possono rappresentare un fondamentale fattore nell’affermazione attiva di diritti che riguardano tutti: educare alla pace quindi vuol dire anche educare ai diritti e alla giustizia e da questo punto di vista le donne sono un attore fondamentale anche per il loro ruolo primario nella società palestinese, una delle più avanzate nel mondo arabo, e che non è mai venuto meno, neanche nella Striscia di Gaza nonostante i luoghi comuni spesso diffusi nei mass media.
Ricordiamo anche il ruolo fondamentale delle organizzazioni di donne palestinesi e del loro lavoro non solo diretto all'emancipazione economica e politica delle donne ma anche alla società tutta e alla rivendicazione dei diritti del popolo palestinese.
Per questo motivo da quattro anni portiamo avanti progetti con quattro associazioni di donne con le quali lavoriamo sull’implementazione della Risoluzione del consiglio di sicurezza 1325 su “Donne, Pace e Sicurezza”. Attraverso differenti progetti abbiamo contribuito alla creazione di un comitato di donne che è diventato parte della Coalizione Nazionale Palestinese per la 1325 e che ha portato avanti azioni di protezione delle donne e dei bambini, soprattutto delle bambine vittime del conflitto e azioni di formazione, sensibilizzazione e consapevolezza per la comunità sui diritti delle donne, partecipazione politica e diritti umani».
Come presentano i vostri operatotori l'attuale situazione delle donne e dei bambini?
«Le donne, i bambini e le bambine oggi vivono una situazione drammatica basti pensare che essi rappresentano i due terzi delle vittime.
I bombardamenti, le strutture sanitarie danneggiate o non funzionanti, i massicci livelli di sfollamento, il collasso delle forniture di acqua ed elettricità, nonché l’accesso limitato a cibo e medicinali, stanno gravemente interrompendo i servizi sanitari materni, neonatali e infantili. Si stima che ci siano 50mila donne incinte a Gaza, e più di 180 partoriscono ogni giorno senza acqua, antidolorifici, anestesia per i parti cesarei, elettricità per le incubatrici o forniture mediche. Il 15% di loro rischia di avere complicazioni legate alla gravidanza o al parto e necessita di ulteriori cure mediche. Le madri, nel frattempo, mescolano il latte artificiale con acqua contaminata – quando lo trovano – e restano senza cibo in modo che i loro figli possano vivere un altro giorno.
La metà degli oltre 1,7 milioni di persone nella Striscia di Gaza sfollate è rappresentata da bambini e bambine. Più di 15.500 sono rimasti feriti, molti sono in situazioni critiche. Tra i 17.000 e i 18.000 bambini palestinesi hanno perso uno o entrambi i genitori, lasciandoli senza sostegno emotivo o finanziario. Inoltre, oltre 450.000 bambini hanno avuto le loro case danneggiate o distrutte. I minori si trovano in condizioni di estrema insicurezza alimentare. Tutto questo senza considerare le conseguenze sulla salute mentale».
A quale necessità del territorio avete dovuto far fronte?
«Il CISS opera in Palestina dall'inizio degli anni '90. Attualmente, il nostro lavoro si concentra principalmente sul sostegno psicosociale e psicologico dei minori affetti da disturbo da stress post-traumatico attraverso il progetto “Youth-led Mental Health ER”, finanziato dal Governo canadese, attraverso il quale stiamo formando giovani uomini e donne al fine di implementare interventi di primo soccorso psicologico in caso di emergenza; lavoriamo sulla sensibilizzazione femminile attraverso progetti finanziati dal Ministero degli Affari Esteri italiano per l’attuazione della risoluzione ONU 1325 su "Donne, Pace e Sicurezza"; operiamo anche nel campo della tutela del patrimonio culturale attraverso il progetto “Preservare il passato, salvaguardare il futuro”, finanziato dal British Council per interventi di restauro urgente di antichi manoscritti di epoca mamelucca e bizantina. Interveniamo anche nello sviluppo di infrastrutture idriche e igienico-sanitarie laddove mancano sistemi fognari e accesso all'acqua potabile attraverso il progetto “COOP4Water Rights” insieme al Comune di Bari, finanziato dalla Cooperazione italiana e sempre attraverso il finanziamento AICS, stiamo per attivare una clinica mobile che fornirà servizi psicologici e medici, compresa la distribuzione di forniture mediche e igieniche per alcune delle aree più emarginate del nord della Striscia.
Nella situazione attuale è molto impegnativo essere operativi. Abbiamo dovuto sospendere la maggior parte delle nostre attività e modificare il nostro intervento verso una risposta rapida all’emergenza. La mancanza di carburante limita il nostro intervento proprio al luogo in cui è attualmente assegnato il nostro personale. In questi giorni ci stiamo attivando per ricominciare alcune delle nostre attività soprattutto di supporto medico e primo soccorso psicologico e distribuzione di kit igienici. Inoltre, Insieme a una rete di ONG italiane, stiamo già fornendo alcuni aiuti alimentari, beni di prima necessità, coperte e materassi e supporto alle attività psicosociali per i bambini sfollati, attività che vanno di pari passo al lavoro di difesa dei diritti umani. Inoltre stiamo attualmente pianificando la consegna di camion di aiuti umanitari, composti principalmente da attrezzature e forniture mediche».
Avete trovato un cambiamento nella Striscia dopo la vittoria elettorale di Hamas? Come ha reagito la popolazione? Si è sentita premiata o tradita? È cambiato il loro atteggiamento nei confronti di Hamas?
«Hamas ha vinto le elezioni nel 2006. Da molti analisti la vittoria di questo movimento è stata vista come un voto di protesta rispetto alla debolezza e corruzione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e al continuo processo di colonizzazione dei territori palestinesi che l’autorità non è riuscita ad arrestare. La non accettazione da parte di molti stati occidentali del risultato, quindi la rottura di relazioni diplomatiche, politiche ed economiche con la Striscia e la conseguente lotta intestina tra Hamas e Fatah ha creato una divisione di Governo tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. Dal 2007 Hamas gestisce le istituzioni, l’amministrazione e i servizi all’interno della Striscia di Gaza.
Sempre dal 2007 Israele ha imposto un assedio via terra, mare e cielo sulla Striscia di Gaza. La Striscia di Gaza è un piccolo territorio (342 km2), ad altissima densità di popolazione. Più di 2 milioni di Palestinesi risiedono a Gaza, di cui quasi il 60% bambini. L’80% della popolazione dipende dall’assistenza internazionale, pertanto le possibilità di creare posti di lavoro e l’economia sono completamente deteriorate, 70% della gente vive sotto la soglia di povertà. Le persone hanno accesso limitato a servizi e risorse essenziali, tra cui cure, istruzione, acqua, elettricità. Il blocco imposto da Israele priva la popolazione del diritto al movimento e limita l’importazione di beni, anche di prima necessità. Gaza, infatti, dipende da Israele per l'acqua, l'elettricità (garantita tra 6 e 8 ore al giorno), e le telecomunicazioni.
In questa situazione è molto difficile parlare di o presumere il consenso. Quello che possiamo dire è che è assolutamente sbagliato fare l’equazione Gaza=Hamas».
Ci si aspettava una guerra?
«Dal 2007 ad oggi, la popolazione ha subito già sei grandi offensive militari. Chiaramente nessuna delle precedenti aveva raggiunto questi livelli di distruzione, devastazione e sfollamento».