mercoledì 24 aprile 2024
Walter Lazzarin, scrittore di strada
di Chiara Montesano
Da 2015 gira l’Italia con una macchina da scrivere e le copie del suo ultimo libro, “Il drago non si droga”. Il suo sogno è di riavvicinare gli italiani alla narrativa
2 luglio 2016

Se il lettore non va il libreria, lo scrittore scende in strada. Seduto su un telo da mare, Walter Lazzarin batte velocemente le dita sulla sua Olivetti. Compone tautogrammi, versi formati da parole che iniziano tutte con la stessa lettera, sui marciapiedi delle più disparate città italiane. Un 33enne dall'aspetto curato e dall'aria intellettuale, che si è inventato un nuovo modo per pubblicizzare il suo terzo romanzo dal nome “Il drago non si droga”. Lo abbiamo incontrato a Roma.


In cosa consiste il progetto “Scrittore per strada”?

«Dal 12 ottobre 2015 sto girando per l’Italia con una macchina da scrivere e le copie del mio ultimo libro, “Il drago non si droga”. Si tratta di una nuova forma di proposta culturale e si sviluppa attraverso il contatto diretto tra autore e lettore, in giro per le strade e le piazze del paese. L'obiettivo del progetto non è solo quello di farmi conoscere come autore: il sogno è di riavvicinare gli italiani alla narrativa. “Scrittore per strada” nasce dall’idea di collegare due mie passioni: la scrittura e i viaggi. Il viaggio non è una vacanza; per me è un’esperienza, un continuo cercare e mettersi alla prova, essere sempre in bilico. Alle spalle ho avventure anche molto faticose, però fantastiche. Ho pensato di usare questa abitudine alla strada, questa capacità di adattarmi a tutto, per promuovere il libro in modo originale. In un mondo così pieno di titoli, di saggi e romanzi, o ti inventi qualcosa o resti nell’ombra. Sulla strada, la possibilità di essere illuminato dal sole è maggiore, no?».


C'è qualcosa di autobiografico ne “Il drago non si droga”?

«Tutto. Anzi, niente».


Quali sono gli attrezzi del mestiere che porta sempre con sé?

«Macchina da scrivere Lettera 25, fogli bianchi, draghi, penna, matita, agenda, Kindle, cuscino e telo da mare».


Perché ha deciso di utilizzare una macchina da scrivere, piuttosto che un foglio bianco e una penna o addirittura un computer?

«Chi si fermerebbe vedendo uno per terra con carta e penna? Forse pochi. E vedendolo con un Pc? Forse meno ancora. Il ticchettio della mia Olivetti invece è un richiamo musicale e ipnotico».


Prima di partire ha parlato con qualcuno in particolare del suo progetto? C'è qualcuno che l'ha appoggiato dall'inizio?

«Il progetto suonava bene a chiunque ne parlassi (amici, compagni di squadra, mamma). Sono stati i loro Wow, bellissima idea!, a togliermi ogni dubbio».


Quali sono le difficoltà che ha incontrato in questo percorso? Non ha mai avuto paura di confrontarsi con il mondo esterno? In tutte le città in cui è stato si è trovato bene?

«La difficoltà più grande è sopportare la stanchezza. Poi ogni volta che prendo il treno e mi dirigo verso una nuova città ho paura. E quando mi posiziono per la prima volta in una città ho ancora paura. È normale, non so mai cosa mi aspetta. Però ogni volta resto piacevolmente sorpreso dalla reazione dei passanti, benché sì, lo confesso, non in tutti i posti in cui sono stato mi sono trovato benissimo. Ci sono realtà più aperte di altre».


Come si rapportano a lei le persone che incontra per strada?

«Dipende. C’è chi passa con indifferenza, chi sorride, chi saluta. E c’è chi è indeciso, e va invitato attraverso un ciao ad avvicinarsi, oppure chi si ferma da me, senza che io faccia niente. A chi si ferma a guardarmi chiedo: “Hai mai letto un tautogramma?“. I più (per non dire quasi tutti) rispondono con un: “Eh?!“. A quel punto faccio leggere uno dei miei componimenti e spesso (per non dire quasi sempre) ho la soddisfazione di vedere un sorriso sulle labbra del lettore».


Avendo abbandonato il suo lavoro da professore di storia e filosofia adesso di cosa vive? Questo suo nuovo modo di fare economia è forse una provocazione nei confronti del difficile mondo editoriale?

«Dei libri che piazzo per strada, ovviamente. Per quanto riguarda la provocazione no, nessuna provocazione; questo progetto non è contro niente e nessuno, ma a favore dei miei scritti e della divulgazione della narrativa. È un viaggio di formazione».


Qual è l'obiettivo che pensa di poter raggiungere con questo suo progetto?

«In due parole: crescita personale. Questo progetto è per me sia un esperimento che un nuovo modo di affrontare a quotidianità».


Quali sono le prossime tappe in programma?

«A metà luglio tornerò al Sud. A Roma capito almeno una volta al mese, e forse da ottobre ci andrò ad abitare. Chissà. Dipende dal fatto che Totti rinnovi o meno il contratto, ovviamente».

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