Auditel, basta con la dittatura degli ascolti
Un sistema inaffidabile e distorsivo, giudice insindacabile della programmazione televisiva e arbitro parziale degli interessi economici che vi ruotano intorno. Ecco perché l’Auditel non è attendibile e va riformato. Intervista a Roberta Gisotti autrice del libro “La favola dell’Auditel”
4 novembre 2015
Dal dicembre 1986 l’Auditel rappresenta l’unica società privata a cui è affidato il compito di rilevare i dati di ascolto della tv italiana. Ad oggi sono circa 5600 le famiglie appartenenti al campione che grazie al loro “meter” (un apparecchio che riconosce il tempo di fruizione di quell’emittente) comunicano alla società Nielsen - che per conto di Auditel elabora i dati - gusti e preferenze della programmazione tv. In cambio ricevono un premio sotto forma di buoni spesa o elettrodomestici. Successivamente i dati vengono comunicati agli investitori pubblicitari che in base a questi ultimi, stabiliscono dove orientare i loro fondi. Un sistema che più volte in questi anni ha mostrato limiti e criticità e che oggi si trova a fronteggiare il mondo digitale del web 2.0 in cui i programmi tv si fruiscono attraverso diversi dispositivi mobili e in momenti differenti dalla messa in onda.
Nelle scorse settimane le rilevazioni giornaliere dei programmi sono state interrotte a causa di un errore di sistema che ha reso pubblici gli indirizzi mail delle famiglie appartenenti al panel, svelando la propria identità (per contratto devono restare anonime). Una grave fuoriuscita di dati che per quindici giorni ha tenuto col fiato sospeso dirigenti e investitori. La Nielsen ha però assicurato che il campione verrà interamente sostituito ed allargato entro luglio 2016. Dal 28 Ottobre tutto è ritornato alla normalità. O forse no.
«L’Auditel? Un duopolio nato negli ottanta per spartirsi la torta degli investimenti tra Rai e Fininvest - oggi Mediaset - basandosi su un campione di consumatori e no di cittadini. Una dittatura di ascolti prestata al marketing che impone stili di vita e tendenze al consumo». A definire così l’Auditel è Roberta Gisotti, giornalista ed ex consulente Rai che nel 2002 pubblica “La favola dell’Auditel” (Nutrimenti, 2002) un libro inchiesta in cui denuncia le fallacità di un sistema gestito da lobbies commerciali, non rappresentativo dei gusti della popolazione italiana.
Questo recente errore di sistema ha danneggiato la credibilità dell’Auditel?
«Il fatto che massima parte del campione sia stata rivelata alla famiglie appartenenti al panel è assolutamente marginale rispetto alla totale inaffidabilità di questo sistema le cui pecche sono ben conosciute e dimostrate da tempo. Gli addetti ai lavori le conoscono ma fingono che non ci siano».
Qual è la pecca principale di questo sistema?
«È inattendibile perché non c’è prova che questo campione sia riferito alla reale composizione socio-demografica della popolazione italiana. Controlli alla fonte non è mai stato possibile farlo perché ci troviamo davanti ad un soggetto privato che non ha obbligo di trasparenza. Se non in un caso. Fu richiesta un’indagine da parte dell’allora “Garante dell’editoria e radiodiffusione” (oggi AgCom, ndr) che in quell’occasione appurò che in realtà nel campione entravano famiglie interessanti per il mondo della pubblicità. Uno strumento a servizio del marketing piuttosto che a servizio dei cittadini».
Quindi a suo parere c’era più interesse a reclutare famiglie di consumatori che normali cittadini?
«Ho parlato con persone che lavoravano per l’AGB Italia (poi assorbita dalla Nielsen) che per lavoro ricercavano famiglie per il campione. Il reclutamento era un’impresa difficile e quindi era più facile persuadere gli amici degli amici. In altri casi degli agenti mi hanno dichiarato che nel campione entravano le famiglie più semplici e facili da convincere. Le circa venti famiglie che in questi anni sono uscite allo scoperto hanno raccontato che il primo componente del nucleo che ha risposto alla chiamata dell’agente era spesso un anziano. Quest’ultimo era più interessato ad acquisire il piccolo regalo che veniva fatto alla famiglia (sotto forma di elettrodomestico o buoni per la spesa) che alla raccolta di dati in sé. Quindi è chiaro che ci troviamo davanti ad un campione composto da consumatori. Persino l’ISTAT confermò che questo campione può dirci i gusti televisivi solo del 10% della popolazione italiana. Del restante 90% non sappiamo nulla».
Davanti queste criticità perchè gli organi di garanzia delle comunicazioni (AgCom, AntiTrust, Corte dei Conti ecc.) non sono mai intervenuti?
«Tutti i responsabili di questi organismi si sono dimostrati disponibili a cambiare l’Auditel ma come ben sappiamo, nel sistema italiano, le autorità garanti se non trovano il sostegno del Parlamento possono solo relazionare rapporti. Se non c’è volontà politica vengono archiviati e rimessi nel cassetto».
Gli investitori pubblicitari? Perché continuano a difendere un sistema inaffidabile?
«Lo difendono perché, attraverso questo strumento, sono stati proprio i grandi marchi che producono beni di largo consumo, ad essere divenuti padroni della televisione. Si fa la televisione in base ai dati dell’Auditel, si impongono tendenze al consumo e stili di vita. Questo sistema ha tagliato fuori i cittadini che si trovano privi di qualsiasi strumento per registrare il loro gradimento rispetto alla programmazione che viene loro offerta. L’investitore non è tanto interessato al punto di share in più o meno riferito a quella trasmissione perché la spartizione delle quote avviene a monte ed è riferita a grandi numeri. Basti pensare che l’UPA (l’organismo che riunisce le più importanti aziende che investono in pubblicità) è consociato all’Auditel».
E gli autori e i conduttori tv che più volte hanno affermato di sentirsi “vessati” dall’Auditel?
La frase che più volte mi sono sentita dire da conduttori e autori televisivi è stata: «Noi facciamo la tv che piace alla gente». Questo non è vero, viene fatta la tv che impone la “dittatura” Auditel. L’errore più grave è stato affidare il monopolio del rilevamento anche della tv pubblica, ad una società di privata che da oltre trent’anni ci offre dei dati senza possibilità di sindacare.
Non c’è stato mai il tentativo di introdurre nuovi sistemi di rilevamento?
«Altri sistemi di rilevamento, che si basavano più sulla qualità che sulla quantità degli ascolti (ad esempio il Qualitel, il Servizio Opinioni) sono esistiti all’interno della Rai ma sono stati silenziati perché offrivano dati completamente difformi a quelli forniti dall’Auditel».
Quale direzione dovrà percorrere la riforma degli ascolti?
«Innanzitutto l’autorità garante dovrà sorvegliare con maggior rigore i rilevamenti impropri. Poi dovrà affidare a più soggetti la ricerca di questi dati che, ovviamente, non potranno più riferirsi ad impianti analogici ma dovranno includere anche la fruizione della tv attraverso i tablet, gli smartphone, le smart-tv ecc. Abbiamo bisogno di un sistema di rilevamento al passo coi tempi. E soprattutto occorre uscire dalla trappola di un monopolio in cui i controllati sono anche i controllori.
“La favola dell’Auditel” sta per avere un lieto fine?
Penso proprio di sì.
Nelle scorse settimane le rilevazioni giornaliere dei programmi sono state interrotte a causa di un errore di sistema che ha reso pubblici gli indirizzi mail delle famiglie appartenenti al panel, svelando la propria identità (per contratto devono restare anonime). Una grave fuoriuscita di dati che per quindici giorni ha tenuto col fiato sospeso dirigenti e investitori. La Nielsen ha però assicurato che il campione verrà interamente sostituito ed allargato entro luglio 2016. Dal 28 Ottobre tutto è ritornato alla normalità. O forse no.
«L’Auditel? Un duopolio nato negli ottanta per spartirsi la torta degli investimenti tra Rai e Fininvest - oggi Mediaset - basandosi su un campione di consumatori e no di cittadini. Una dittatura di ascolti prestata al marketing che impone stili di vita e tendenze al consumo». A definire così l’Auditel è Roberta Gisotti, giornalista ed ex consulente Rai che nel 2002 pubblica “La favola dell’Auditel” (Nutrimenti, 2002) un libro inchiesta in cui denuncia le fallacità di un sistema gestito da lobbies commerciali, non rappresentativo dei gusti della popolazione italiana.
Questo recente errore di sistema ha danneggiato la credibilità dell’Auditel?
«Il fatto che massima parte del campione sia stata rivelata alla famiglie appartenenti al panel è assolutamente marginale rispetto alla totale inaffidabilità di questo sistema le cui pecche sono ben conosciute e dimostrate da tempo. Gli addetti ai lavori le conoscono ma fingono che non ci siano».
Qual è la pecca principale di questo sistema?
«È inattendibile perché non c’è prova che questo campione sia riferito alla reale composizione socio-demografica della popolazione italiana. Controlli alla fonte non è mai stato possibile farlo perché ci troviamo davanti ad un soggetto privato che non ha obbligo di trasparenza. Se non in un caso. Fu richiesta un’indagine da parte dell’allora “Garante dell’editoria e radiodiffusione” (oggi AgCom, ndr) che in quell’occasione appurò che in realtà nel campione entravano famiglie interessanti per il mondo della pubblicità. Uno strumento a servizio del marketing piuttosto che a servizio dei cittadini».
Quindi a suo parere c’era più interesse a reclutare famiglie di consumatori che normali cittadini?
«Ho parlato con persone che lavoravano per l’AGB Italia (poi assorbita dalla Nielsen) che per lavoro ricercavano famiglie per il campione. Il reclutamento era un’impresa difficile e quindi era più facile persuadere gli amici degli amici. In altri casi degli agenti mi hanno dichiarato che nel campione entravano le famiglie più semplici e facili da convincere. Le circa venti famiglie che in questi anni sono uscite allo scoperto hanno raccontato che il primo componente del nucleo che ha risposto alla chiamata dell’agente era spesso un anziano. Quest’ultimo era più interessato ad acquisire il piccolo regalo che veniva fatto alla famiglia (sotto forma di elettrodomestico o buoni per la spesa) che alla raccolta di dati in sé. Quindi è chiaro che ci troviamo davanti ad un campione composto da consumatori. Persino l’ISTAT confermò che questo campione può dirci i gusti televisivi solo del 10% della popolazione italiana. Del restante 90% non sappiamo nulla».
Davanti queste criticità perchè gli organi di garanzia delle comunicazioni (AgCom, AntiTrust, Corte dei Conti ecc.) non sono mai intervenuti?
«Tutti i responsabili di questi organismi si sono dimostrati disponibili a cambiare l’Auditel ma come ben sappiamo, nel sistema italiano, le autorità garanti se non trovano il sostegno del Parlamento possono solo relazionare rapporti. Se non c’è volontà politica vengono archiviati e rimessi nel cassetto».
Gli investitori pubblicitari? Perché continuano a difendere un sistema inaffidabile?
«Lo difendono perché, attraverso questo strumento, sono stati proprio i grandi marchi che producono beni di largo consumo, ad essere divenuti padroni della televisione. Si fa la televisione in base ai dati dell’Auditel, si impongono tendenze al consumo e stili di vita. Questo sistema ha tagliato fuori i cittadini che si trovano privi di qualsiasi strumento per registrare il loro gradimento rispetto alla programmazione che viene loro offerta. L’investitore non è tanto interessato al punto di share in più o meno riferito a quella trasmissione perché la spartizione delle quote avviene a monte ed è riferita a grandi numeri. Basti pensare che l’UPA (l’organismo che riunisce le più importanti aziende che investono in pubblicità) è consociato all’Auditel».
E gli autori e i conduttori tv che più volte hanno affermato di sentirsi “vessati” dall’Auditel?
La frase che più volte mi sono sentita dire da conduttori e autori televisivi è stata: «Noi facciamo la tv che piace alla gente». Questo non è vero, viene fatta la tv che impone la “dittatura” Auditel. L’errore più grave è stato affidare il monopolio del rilevamento anche della tv pubblica, ad una società di privata che da oltre trent’anni ci offre dei dati senza possibilità di sindacare.
Non c’è stato mai il tentativo di introdurre nuovi sistemi di rilevamento?
«Altri sistemi di rilevamento, che si basavano più sulla qualità che sulla quantità degli ascolti (ad esempio il Qualitel, il Servizio Opinioni) sono esistiti all’interno della Rai ma sono stati silenziati perché offrivano dati completamente difformi a quelli forniti dall’Auditel».
Quale direzione dovrà percorrere la riforma degli ascolti?
«Innanzitutto l’autorità garante dovrà sorvegliare con maggior rigore i rilevamenti impropri. Poi dovrà affidare a più soggetti la ricerca di questi dati che, ovviamente, non potranno più riferirsi ad impianti analogici ma dovranno includere anche la fruizione della tv attraverso i tablet, gli smartphone, le smart-tv ecc. Abbiamo bisogno di un sistema di rilevamento al passo coi tempi. E soprattutto occorre uscire dalla trappola di un monopolio in cui i controllati sono anche i controllori.
“La favola dell’Auditel” sta per avere un lieto fine?
Penso proprio di sì.
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