Educatori, basta coi pregiudizi sull’ambiente digitale
L’ambiente digitale non è contrapposto a quello reale ma è un’estensione. Le relazioni digitali non sono meno autentiche di quelle reali ma anzi ci offrono nuove possibilità di protagonismo e testimonianza. La sociologa Chiara Giaccardi interviene al Convegno Internazionale di Pedagogia Salesiana
22 marzo 2015
«Per noi educatori l’ambiente digitale è un rischio ma anche e soprattutto un’opportunità da cogliere. Ci sono dei pregiudizi da sfatare e tra questi c’è la credenza che i giovani che frequentano molto i social media siano meno aperti a relazioni autentiche. Gli studi confermano il contrario, infatti i giovani molto attivi sui social media sono più socievoli anche all’esterno». Con queste provocazioni, Chiara Giaccardi, sociologa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano apre la sua relazione su “Giovani, media digitali e sfide educative” all’interno del Convengo Internazionale di Pedagogia Salesiana (Roma, 19-21 Marzo). Abbiamo riassunto i passaggi principali del suo intervento al Salesianum.
Perché reale e digitale non sono contrapposti. «Non c’è una contrapposizione tra la realtà e la dimensione digitale. Il digitale è un diverso tipo di realtà “non materiale” ma per i ragazzi è assolutamente reale. C’è una continuità tra il loro mondo relazionale “faccia a faccia” e quello sui social media: i ragazzi parlano coi loro compagni a scuola poi tornano a casa e chattano con gli stessi compagni che hanno poco prima salutato. Non c’è contrapposizione tra questi due territori ma esiste una continuità. Molti studi hanno dimostrato, infatti, che quei ragazzi che sono molto attivi sui social media sono anche più socievoli fuori. È quindi un errore pensare che il passare del tempo sui social media voglia dire togliere tempo alle relazione autentiche. La falsità e la verità di una conversazione si possono dimostrare tanto nel “faccia a faccia” quanto nei social media. Tutto viene riportato a noi e alla nostra autenticità, sia quando scriviamo una mail, sia quando video-chiamiamo, sia quando ci ritroviamo di fronte ad una persona. Quindi più che parlare di reale e virtuale utilizziamo i termini materiale e digitale che appaiano meno contrapposti ma soprattutto due ambienti continui».
Onnipresenti grazie all’ambiente digitale. Gli smartphone, i tablet, gli smart-watch non sono strumenti. Sono estensioni dei nostri spazi relazionali, delle nostre possibilità di entrare in relazione con il mondo. Uno strumento è un oggetto che ha una forma e una funzione che adopero solo quando mi serve: il martello per piantare il chiodo, dopo averlo fatto lo metto apposto. L’ambiente digitale, invece, è sempre attivo e i ragazzi molto spesso non spengono mai questi dispositivi perché devono essere sempre “disponibili alla relazione”. Gli studiosi ci avvertono che viviamo in un ambiente “post mediale” perché i mezzi sono ormai sciolti nell’ambiente, la nostra realtà è mista tra materiale e digitale. E questa può rappresentare per tutti noi un’opportunità, se la sapremo sfruttare».
Più mi piace ho, più valgo. «Facebook letteralmente vuol dire libro di volti e il volto non è altro che la manifestazione dell’unicità di ognuno di noi. Il rischio è che Facebook diventi un Fakebook ovvero una rappresentazione distorta di noi stessi, di ciò che ci piacerebbe essere, l’adattarci a ciò che va per la maggiore, l’ambivalenza. Quali sono i rischi? Le nuove fragilità, le nuove insicurezze del nostro profilo: pensiamo di non essere abbastanza belli, simpatici, intelligenti, allora si esagera la rappresentazione di sè. Si esagerano gli aspetti che gli altri possono apprezzare e quindi valutiamo il nostro successo dai like, dalle condivisioni, dai retweet insomma da dimensioni quantitative. Più gli altri mi citano, più valgo. Il bisogno di essere sempre connessi, l’incapacità di tolleranza del silenzio digitale proprio perché questi mezzi sono sempre lì a colmare i nostri silenzi».
Tutti possono dire tutto. «Quali le opportunità dell’ambiente digitale? La rete ci consegna delle modalità nuove come l’orizzontalità: tutto è uguale, tutti possono dire tutto. Se da una parte questa rischia di creare una marmellata indistinta dove non ci sono più differenze, dall’altra parte obbliga chi ha qualcosa di importante da dire ad esprimerlo in maniera convincente, attraverso la testimonianza. L’orizzontalità della rete ci obbliga a passare dall’autorità all’autorevolezza, obbliga a metterci in gioco e a testimoniare il valore di ciò che abbiamo da trasmettere».
Il contributo di Papa Francesco. «Papa Francesco ci ha aiutato tantissimo con la sua testimonianza e con i messaggi delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali, per capire cosa significhi abitare l’ambiente digitale con un’attenzione antropologica. Quando si fa un selfie con i ragazzi che lo incontrano gli dice con la sua corporeità: io sono dalla vostra parte, siamo dalla stessa parte dello schermo, siamo nella stessa storia! Questo è un nuovo modo di far capire la riduzione delle distanze che è la stessa comunicazione. E anche l’ultimo messaggio per la GMCS ci dice l’importanza della relazione e della comunicazione. Non siamo esseri che prima nascono e poi costruiscono relazioni ma siamo individui perché siamo nati nella relazione, in primis quella del grembo della madre che ci ha partorito. La relazione viene prima, l’individuo viene dopo. Questo è un universale antropologico».
Perché reale e digitale non sono contrapposti. «Non c’è una contrapposizione tra la realtà e la dimensione digitale. Il digitale è un diverso tipo di realtà “non materiale” ma per i ragazzi è assolutamente reale. C’è una continuità tra il loro mondo relazionale “faccia a faccia” e quello sui social media: i ragazzi parlano coi loro compagni a scuola poi tornano a casa e chattano con gli stessi compagni che hanno poco prima salutato. Non c’è contrapposizione tra questi due territori ma esiste una continuità. Molti studi hanno dimostrato, infatti, che quei ragazzi che sono molto attivi sui social media sono anche più socievoli fuori. È quindi un errore pensare che il passare del tempo sui social media voglia dire togliere tempo alle relazione autentiche. La falsità e la verità di una conversazione si possono dimostrare tanto nel “faccia a faccia” quanto nei social media. Tutto viene riportato a noi e alla nostra autenticità, sia quando scriviamo una mail, sia quando video-chiamiamo, sia quando ci ritroviamo di fronte ad una persona. Quindi più che parlare di reale e virtuale utilizziamo i termini materiale e digitale che appaiano meno contrapposti ma soprattutto due ambienti continui».
Onnipresenti grazie all’ambiente digitale. Gli smartphone, i tablet, gli smart-watch non sono strumenti. Sono estensioni dei nostri spazi relazionali, delle nostre possibilità di entrare in relazione con il mondo. Uno strumento è un oggetto che ha una forma e una funzione che adopero solo quando mi serve: il martello per piantare il chiodo, dopo averlo fatto lo metto apposto. L’ambiente digitale, invece, è sempre attivo e i ragazzi molto spesso non spengono mai questi dispositivi perché devono essere sempre “disponibili alla relazione”. Gli studiosi ci avvertono che viviamo in un ambiente “post mediale” perché i mezzi sono ormai sciolti nell’ambiente, la nostra realtà è mista tra materiale e digitale. E questa può rappresentare per tutti noi un’opportunità, se la sapremo sfruttare».
Più mi piace ho, più valgo. «Facebook letteralmente vuol dire libro di volti e il volto non è altro che la manifestazione dell’unicità di ognuno di noi. Il rischio è che Facebook diventi un Fakebook ovvero una rappresentazione distorta di noi stessi, di ciò che ci piacerebbe essere, l’adattarci a ciò che va per la maggiore, l’ambivalenza. Quali sono i rischi? Le nuove fragilità, le nuove insicurezze del nostro profilo: pensiamo di non essere abbastanza belli, simpatici, intelligenti, allora si esagera la rappresentazione di sè. Si esagerano gli aspetti che gli altri possono apprezzare e quindi valutiamo il nostro successo dai like, dalle condivisioni, dai retweet insomma da dimensioni quantitative. Più gli altri mi citano, più valgo. Il bisogno di essere sempre connessi, l’incapacità di tolleranza del silenzio digitale proprio perché questi mezzi sono sempre lì a colmare i nostri silenzi».
Tutti possono dire tutto. «Quali le opportunità dell’ambiente digitale? La rete ci consegna delle modalità nuove come l’orizzontalità: tutto è uguale, tutti possono dire tutto. Se da una parte questa rischia di creare una marmellata indistinta dove non ci sono più differenze, dall’altra parte obbliga chi ha qualcosa di importante da dire ad esprimerlo in maniera convincente, attraverso la testimonianza. L’orizzontalità della rete ci obbliga a passare dall’autorità all’autorevolezza, obbliga a metterci in gioco e a testimoniare il valore di ciò che abbiamo da trasmettere».
Il contributo di Papa Francesco. «Papa Francesco ci ha aiutato tantissimo con la sua testimonianza e con i messaggi delle Giornate Mondiali delle Comunicazioni Sociali, per capire cosa significhi abitare l’ambiente digitale con un’attenzione antropologica. Quando si fa un selfie con i ragazzi che lo incontrano gli dice con la sua corporeità: io sono dalla vostra parte, siamo dalla stessa parte dello schermo, siamo nella stessa storia! Questo è un nuovo modo di far capire la riduzione delle distanze che è la stessa comunicazione. E anche l’ultimo messaggio per la GMCS ci dice l’importanza della relazione e della comunicazione. Non siamo esseri che prima nascono e poi costruiscono relazioni ma siamo individui perché siamo nati nella relazione, in primis quella del grembo della madre che ci ha partorito. La relazione viene prima, l’individuo viene dopo. Questo è un universale antropologico».
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